Trieste, il mare, le fodre e … i pinguini

>> venerdì 12 settembre 2008

Uno dei ricordi più intensi e rassicuranti delle mia infanzia è quello della domenica mattina: che tirasse bora o che splendesse il sole era rituale la passeggiata con il nonno lungo le Rive.



Col nonno solo a piedi si andava e per “fodre“, le stradine interne e poco frequentate come le fodere di un cappotto. Passavano sotto il Colle di San Giusto, senza vedere i resti della Tergestum romana, né la cattedrale romanica o il Castello (costruito a tappe tra la fine del 1400 ed il 1600).



Da lassù la vista sarebbe stata bellissima, con il golfo davanti agli occhi, magari un bora leggera a sferzare il viso, lo sguardo fino alle montagne magari ancora innevate, con Lignano e Grado come puntolini in riva al mare; davanti solo acqua fino all’orizzonte e, dall’altra parte, la costa istriana. Noi niente! Al buio dovevamo stare! Che così si soffre meglio! Nelle stradine strette… bah!



E arrivavamo in Cavana, un borgo abitato un tempo dalla nobiltà ed ora ricettacolo di gente di malaffare, di visi segnati dalla vita, dalla galera e dalle umane miserie (”Cavana” non veniva mai detto ad alta voce, ma sempre sussurrato o sparato come un insulto). Costeggiavamo il borgo, sicuri ‘che tanto lì accanto c’era pur sempre la Curia Vescovile, e già ci si apriva davanti il mare.



Chissà perché, sin da quei tempi ed ancora oggi, quando guardo il mare, che sia pure dalla finestra di casa, tiro un sospiro come fosse di sollievo … Rassicurante via di fuga sempre pronta.. chissà?


Tanto per allungar la strada giravano verso sinistra, quasi a tornare indietro, e … niente mare, ancora, ma via del Lazzaretto Vecchio, quella ricordata da Saba “il vecchione”, a detta di Magris (e di molti altri .. me compresa..)



C’è a Trieste una
via dove mi specchio,
nei lunghi giorni di
chiusa tristezza;
si chiama Via del
Lazzaretto Vecchio


e, per giove, finalmente il mare!



Sbucavamo davanti alla Società Canottiera e, se avevo fortuna e se il tempo lo permetteva, il nonno mi portava a guardare i ragazzi che si allenavano, fuori, verso largo, allenamento che finiva sempre con gli equipaggi che si rovesciano in mare per il bagno finale con applauso del pubblico domenicale.



Alla fine ci dirigevamo verso … Santa Maria del Guato (il ghiozzo piccolo e pieno di lische ma tanto buono per il brodetto con la polenta!), nome dissacrante per il mercato del pesce (perché tale era) ma cavolo se non somigliava ad una chiesa, con quella torre come un campanile con tanto di campana in cima! E finalmente l’acquario cittadino.




Non entravamo… l’appuntamento era fuori per me come per tanti bambini. L’appuntamento era con Marco.



Marco era un pinguino, ma la sua storia non la sapevo a quel tempo e quindi anche voi aspetterete per conoscerla





Tutti i giorni, domeniche comprese, si faceva la sua bella passeggiata lungo le rive, in compagnia del suo custode preferito (custode dell’acquario, a dir il vero): Marco davanti, libero e solenne … spocchioso oserei dire, il custode dietro come un maggiordomo. I bambini lo accoglievano con strilli e richiami, i grandi lo guardavano sempre incuriositi e stupiti, qualche turista (pochi, molto pochi) faceva delle foto e se Marco se ne accorgeva si fermava e (giuro!) si metteva in posa. Se era di buonumore si lasciava accarezzare da quelle manine timorose e irruenti al tempo stesso, che scivolavano giù per le sue piume lisce e nere, e se le carezze valute non arrivavano, aveva un modo tutto suo per rubarle: fingeva di zoppicare…. Oh! Ne era capace, vi assicuro! Che disgraziato! Si dice che tutto fosse nato da un incidente: senza volerlo un guardiano, un giorno, gli pestò una pinna e, immediatamente, lo prese in braccio per consolarlo e chiedergli scusa. Zampa -zoppia - coccole: semplice e sicuro, il metodo



Se decideva poi che di carezze ne aveva ricevute a sufficienza, due beccate alla rinfusa e le mani di colpo sparivano, magari con qualche brevissimo pianto se la beccata andava a segno, a non era mai eccessiva, la beccata, serviva solo a dire “Ora basta che c’ho da fare!”.




Io pure ma la presi, sotto gli occhi attenti del nonno, che non bastarono ad evitarmela, e il risolino sotto ai baffi del guardiano. Ma l’amore per Marco non cessò: come un’amante tradita mi portai per anni nel cuore l’affronto, senza versare una lacrima o lasciarmi sfuggire un “AHIA, porcazzozza!”… eh .. le donne di carattere si vedono fin dall’infanzia.



Come un ammiraglio che passa in rassegna le sue truppe Marco s’incamminava di solito lungo il Molo Audace, percorso non estremamente facile per le sue gambe corte, con quei pietroni disassati dalle mareggiate, ma aveva una meta precisa: andava a farsi il bagno. Si buttava giù dal molo e se ne stava a dondolarsi sul pelo dell’acqua o faceva acrobazie incredibili, godendosi sia il suo elemento naturale, sia le facce degli spettatori che come ebeti lo stavano a guardare. Il ritorno sul molo era per lui impossibile: gli scalini alti non corrispondevano alla misura dei suoi arti inferiori, doveva quindi andarci il guardiano a recuperarlo.




CHI ERA MARCO


Pinguino Spheniscus Demersus: non Marco ovviamente, ma un suo parente


Pinguino Spheniscus Demersus: non Marco ovviamente, ma un suo parente




1953: la motonave Europa del Lloyd Triestino ritorna dal Sud Africa. A bordo un passeggero decisamente particolare: uno Spheniscus demersus, un pinguino sudafricano neppure particolarmente bello.



Dicono fosse stato trovato, solo, abbandonato e sicuramente destinato alla morte, da alcuni marinai e “salvato” portandolo a bordo. Forse i marinai videro semplicemente un accattivante cucciolo e se ne innamorarono. Chissà? Di certo c’è che il pinguino si fece tutti i 50 giorni di viaggio, sopravvivendo chissà come, sicuramente accudito con amore e con tutte le cure possibili, nascosto ai 400 passeggeri ed anche alla maggior parte delle 200 persone dell’equipaggio ufficiali compresi.



Era normale, per i marittimi, portarsi a casa, dai viaggi, degli animali “strani” (stramba Trieste!) -ricordo perfettamente l’invidia che noi, ragazzi del quartiere, provavamo per “Gianni della simia” (Gianni della scimmia), un ragazzino col padre che “navigava” che girava con una bertuccia sulla spalla- certo che di pinguini in giro non se n’erano ancora visti.



E poi, come tenerlo in casa? E’ sicuramente la domanda che anche quei marinai si fecero. Unica soluzione possibile confessare il “furto” all’autorità. Niente punizioni, niente ramanzine, ma a qualcuno venne l’idea giusta: farne dono all’Acquario cittadino. Ne parlò “Il Piccolo”, quotidiano di Trieste, con grande rilievo, ma ancora nessuno sapeva il carattere da star dello Spheniscus demersus in questione, carattere che sarebbe stato determinante nel dargli la notorietà assoluta.



Gli costruirono una vasca adeguatamente grande all’interno dell’Acquario, che usava volentieri sia per fare le sue bravate da provetto nuotatore, sia per schizzare (con enorme soddisfazione!) i visitatori che lo guardavano dai bordi. Come per i suoi bagni in mare, per entrarci, nella vasca non aveva alcun problema: un bel tuffo “a clanfa” (sapete? Di quelli che provocano un’innondazione per un raggio di 10 metri…) ed il gioco era fatto. Diverso l’uscirne, ma bastava un suo versaccio roco e sgraziato ed arrivata il “maggiordomo” di turno a tirarlo a secco.



Gli diedero un nome, Marco.. Chissà perché proprio quello! E lui, sicuramente con un ritardatario imprinting, visse uomo fra gli uomini per 31 anni. Sì .. 31 anni, mentre la vita media di un esemplare della sua specie è di 20, 25 anni, beccandosi generazioni di coccole da manine sostituite da altre manine, finendo sui giornali di mezzo mondo grazie ai turisti (pochi magari) che se lo vedevano davanti, arrogante come sempre, tra i palazzi austrungarici delle Rive.



Fatto “uomo” (era il 1964), gli amici pensarono anche a fargli conoscere le gioie dell’amore e dal Sud Africa arrivò una coppia di Spheniscus demersus, una coppia perché in quella specie i maschi sono perfettamente uguali alle femmine .. in apparenza. Ma non c’è storia: Max (il maschio) le prendeva di santa ragione, Lily (la femmina) non veniva degnata neppure di uno sguardo. D’altra parte, visti con i suoi occhi, quelle bestie erano ben strane! Eppoi non sapevano esprimersi, né comportarsi! … Meglio turisti, bambini e foto…



Marco morì da “uomo” com’era vissuto: tra le braccia del suo guardiano preferito, coccolato ancora, avvolto teneramente in una coperta, con sicuramente sopra il suo viso gli occhi pieni d’amore e di lacrime di uno degli amici che lo avevano amato.



(Dall’autopsia risultò che Marco era una femmina. Nel 1986 il governo del Sud Africa inviò a Trieste una coppia di pinguini, quasi a perdurare la memoria di Marco: Zigo e Zago che hanno messo su famiglia facendo nascere Domino e Pulcinella……. Ma Marco rimane irripetibile e indimenticabile)

3 commenti:

Anonimo 14 aprile 2009 alle ore 19:45  

Ciao Rosalba, ho visitato il tuo sito che ho trovato molto interessante e spiritoso, in particolare la storia di Marco che anch'io, accompagnato da mio padre, andavo a trovare tutte le domeniche mattina appena arrivava la primavera. Concordo pienamente con il tuo racconto apparentemente incredibile ma totalmente vero.
Duilio

silvisary 29 gennaio 2010 alle ore 22:36  

ke emozione aver letto questa storia...mia madre all'età di 10 anni circa mi ha raccontato di averlo conosciuto personalmente,mi ha raccontato anke ke faceva da cicerone(in senso lato)all'acquario di triestedurante una sua visita,i ricordi di mia madre sono un pò labili,tuttavia sono rimasti nella sua mente e lo ricorda con affetto,x questo abbiamo voluto cercare la sua storia e quello ke hai scritto mia madre lo conferma con affetto,peccato io non abbia saputo conoscerlo!!!!caio....ps:esistono suoi video ke tu sappia?mi piacerebbe tanto vederlooooo,baci,saretta!!!!!

Anonimo 4 marzo 2010 alle ore 16:04  

che bel blog, purtroppo da poco e' morto anche pulcinella,l'ultimo pinguino rimasto;spero che s. maria del guato venga adibita interamente ad acquario, per poter accogliere e proteggere degnamente altri pinguini.
il racconto e' molto realistico,coicide con i miei ricordi e con i racconti di mia madre,che ha conosciuto marco in una tinozza in un bagno, nel periodo in cui Marco stava attendendo le autorizzazioni necessarie per andare all' acquario.


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